L’homo sapiens giunge sulla costa meridionale della Sicilia circa 300.000 e più anni fa, cioè prima del periodo paleolitico inferiore del pleistocene, quando la catena montuosa dei Nebrodi era ricoperta di querce e aceri ed il resto del territorio siciliano era ricoperto di un manto forestale primigenio, abitato da cervi, cavalli, cinghiali e dove vivevano l’elefante nano e l’ippopotamo. Nella fascia compresa genericamente tra Porto Empedocle e Mazara del Vallo, nell’agrigentino e nel trapanese, i manufatti rinvenuti indicano tale periodo con sufficiente certezza. La presenza umana organizzata, certificata da reperti e testimonianze indiscutibili, è geologicamente recente: risale all’età mesolitica, cioè a circa 12.000 anni fa, vedi le figure umane dipinte nella grotta di Levanzo e le incisioni rupestri nella grotta Addaura (Pa), le più antiche testimonianze della cultura figurativa umana dell’isola.
Nel neolitico il paesaggio non sovrasta più l’essere umano ma acquista un volto familiare più controllabile ed esso, lentamente, si trasforma per l’intervento dell’uomo che si raccoglie in comunità collettive più ampie. L’uomo per i suoi bisogni primari, comincia una lenta opera di trasformazione delle aree in cui abita ed agisce: diventa allevatore e, con l’introduzione dei cereali provenienti dall’oriente, anche agricoltore.
In Sicilia occidentale, però, l’uomo continua ad abitare le grotte mentre nella fascia pedemontana etnea ed in Sicilia sud-orientale, nei pressi di sorgenti d’acqua perenni con un suolo fertile, realizza i primi villaggi capannicoli anche fortificati, in alture strategiche prossime al mare dove il paesaggio delle zone acquitrinose costiere forniva il substrato fertile per le coltivazioni dei cereali necessari al proprio sostentamento, consolidando così l’acquisita sedentarietà.
La scoperta dei metalli, il rame dell’eneolitico e, soprattutto poi la sua lega con lo stagno, il bronzo, faranno dell’uomo preistorico un essere capace di autodeterminarsi che imprimerà al contesto circostante, per secoli, un’orma inconfondibile ed indelebile che ancora oggi connota il paesaggio siciliano.
L’esaltazione di sé nella vita e nella morte porterà alla realizzazione di luoghi della sepoltura sempre più grandi e monumentali, con la piena assunzione degli stimoli culturali egeo-anatolici, evidenti nelle tombe a grotticelli artificiali.
È in questo periodo che si configura, pressoché intatto ancora oggi, il paesaggio delle “cave” degli Iblei, strette e profonde valli solcate da fiumi a carattere torrentizio, con un clima più fresco rispetto ai pianori sovrastanti, dove piccoli villaggi coltivano le strette fasce esistenti ai lati dei corsi d’acqua.
In alto, sui pianori, saranno ubicati i villaggi maggiori in posizioni strategiche prossime alle confluenze dei fiumi, il passaggio obbligato delle comunicazioni e dei commerci lungo le vie fluviali. Tali centri, specie nella media e tarda età del Bronzo, assumeranno una qualità protourbana evidente nelle strutture complesse delle costruzioni e delle fortificazioni dei centri abitati, all’interno dei quali spicca il palazzo dei signori: l’anaktoron. A Pantalica (l’antica Ibla), tale edificio, simile ai palazzi dei principi micenei, domina l’impianto urbano in posizione centrale e sopraelevata, posizione dalla quale il paesaggio circostante è tenuto sotto controllo, un paesaggio estremamente naturale oggi segnato dalla presenza di un’estesa necropoli a grotticelle artificiali (circa 5.000) che coprono per intero le pendici dell’abitato, i fianchi della “cava”.