A questa data, si può dire, corrisponde la chiusura di un periodo storico: quello feudale.
Il bilancio non è felice per la città, come abbiamo visto, infatti dopo il primo sviluppo, già attorno al 1754 (2874 anime) si presenta con una stasi demografica che tocca punte di regressione fra il 1798 (3400 anime) ed il 1831 (3049 anime), e ciò in un particolare lasso di tempo durante il quale si configura un vuoto di potere nella storia di Cianciana.
Di contro i paesi vicinori, nel censimento del 1797, riportavano i seguenti abitanti:
- Casteltermini 5590;
- S. Stefano 5486;
- Cammarata 5123;
- Ribera 4656;
- Alessandria 4416;
- Cianciana 3400;
- Villafranca 3213;
- S. Giovanni 3011;
- Bivona 2582;
- S. Biagio 2500;
- Lucca 1960;
- Calamonaci 780.La scomparsa, del potere feudale, non aveva trovato tra l'altro la nascente borghesia agraria in grado di ergersi a nuovo polo della vita economica del paese.
Nel 1830 è stata ingrandita ed abbellita la Chiesa del Purgatorio.
Prima dell'utilizzo delle acque potabili provenienti dalle sorgenti del Voltano, ubicate a 12 chilometri verso nord in territorio di Santo Stefano Quisquina, Cianciana aveva in paese due pubblici abbeveratoi, quello di S. Antonino e quello del Convento, e due pozzi pubblici, quello di Fontanella e quello Felicia e alcuni pozzi privati, a 300 metri verso sud aveva l'abbeveratoio invernale detto delle Mosche, a 1 chilometro verso nord, lungo la SS.118, vi è quello detto delle Pile della Mintina[1].
Tutte queste acque erano amare e servivano a dissetare gli animali, per eseguire opere di costruzione e per lavare le vettovaglie.
Le acque potabili erano quelle di Canalaro e quelle della Senia;[2] quelle di Canalaro erano intermittente, cioè nella stagione estiva si disseccavano, quelle della Senia si trovavano a 700 metri verso oriente.
Ad un chilometro e mezzo dall'abitato, verso occidente, si trova ancora oggi quella dell'Albano, la quale è sempre stata la principale delle sorgenti ciancianesi, alimentatrice di due abbeveratoi e di un lavatoio.
L'acqua allora si attingeva mediante le quartari (brocche) che venivano portate dalle donne, ritti e verticalmente equilibrati, sulla loro testa, generalmente mogli e figlie dei contadini.I più abbienti o chi possedeva animali da soma trasportava l'acqua a due o a quattro quartare sulla schiena degli animali mediante delle opportune bardature.
Gli zolfatai o gli artigiani invece compravano l'acqua direttamente a dettaglio in tutti i periodi dell'anno, da persone che facevano quel mestiere; nel periodo invernale una brocca di dieci litri veniva pagata 8 centesimi, e nell’estate 10 centesimi.[3]
Le sorgenti erano giorno e notte invase da un gran numero di persone, le quali perdevano moltissimo tempo ad aspettare il proprio turno che oggi come allora, era detto la vicenda, al fine di riempire le proprie quartare, con un notevole tempo sia per fare il viaggio di andata che quello di ritorno con grande fatica in quanto era tutto in salita.
Oltre a quelle di cui sopra, poste nelle immediate vicinanze del centro urbano, esistevano altre sorgenti nel feudo Bissana, poste a quattro chilometri dal centro urbano, quelle selenitose del bevaio detto proprio Bissana e le altre acque amare che scaturiscono qua e là entro il feudo, le tre sorgive di acqua potabile sono denominate: Fontana dei Malati; Mandrata-Di Maria e Giannone.
Oltre il territorio di Cianciana esistevano ed esistono tuttora quelle di Millaga, poste a circa quattro chilometri, quelle di Ciniè, poste a tre chilometri e mezzo, quelle di Chinesi, poste a otto chilometri, quella dentro il feudo Ferraria detta della Pile di Mangione, poste a tre chilometri.
Tutte le sorgenti di cui sopra indicate sono poste ad una quota molto inferiore a quella su cui poggia Cianciana, tranne quelle delle Pile della Mintina che fra l’altro non era potabile, e quindi non potevano essere convogliate entro il centro urbano.
Per la scarsità di consistenti sorgive Cianciana non era dotata di mulino ad acqua, quello indicato nelle planimetrie tra il vallone di Bissana, il fiume Platani ed il vallone Ciniè era indicato come rudere, ma utilizzava quello ubicato nel feudo Balata, alimentato dalle acque del fiume Magazzolo allora denominato Macasoli, che serviva ordinariamente alla molitura dei cereali dei ciancianesi.
[1] Questo abbeveratoio era detto delle Pile della Mintina, perché prima vi erano le pile, invece dell’abbeveratoio che in seguito fece costruire il Sindaco Dr. Francesco Carbone, il quale utilizzò le stesse pile per l’abbeveratoio realizzato nel quartiere Canalello, oggi non più esistente. Le acque di questo abbeveratoio sono sulfuree, da ciò la denominazione Mintine, perché nel vocabolario ciancianese le acque sulfuree si chiamano acque mintine.
[2] Il nome arabo Senia dimostra che, nei tempi andati, quelle acque dovevano essere abbondanti, e fornite dell’omonima macchina idraulica a ruota atta a fare montare l’acqua entro le secchie. Però già nel 1877 era un semplice pozzo povero d’acqua.
[3] I prezzi sono riferiti all’anno 1877.
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Articolo tratto dal libro: "Sant'Antonino di Cianciana. Storia di una città di nuova fondazione", Anno 2007, scritto dall'Arch. Paolo Sanzeri.
Breve descrizione dell'opera: Il libro si occupa di descrivere Cianciana fin dalle sue origini, Che non coincidono con la data ufficiale di fondazione, ma inizia dall'età del bronzo fino ai primi del '900. Inoltre il libro Tratta dell'archeologia dell'architettura, dell'urbanistica, dell'arte, dell'ambiente e di altri temi inerenti il territorio comunale, in particolare del fiume Platani e della ex Rete Ferroviaria.
Il libro è disponibile presso il bookshop del Museo Civico.