Di un certo interesse è il racconto di Candida sullo strano miscuglio di carboneria, mafia e delinquenza comune (briganti e ladri) dal 1820 in poi (avrà, infatti, con combinazioni variabili di elementi, tre repliche: nella rivoluzione del 1848, nel 1860 con l'appoggio delle bande al massone Garibaldi e nella rivolta popolare del 1866 a Palermo e provincia che vide la presenza di "briganti e malfattori.
[i][20] ): "Le cronache ci dicono che in provincia di Girgenti, durante i moti del 1820 e successivi, a Naro, a Palma di Montechiaro, a Canicattì, a Comitini e a Cianciana, nel corso dei tumulti, si verificarono omicidi a scopo di rapina, saccheggi, furti, incendi e devastazioni, compiuti da mafiosi associati alla Carboneria, che approfittando dei moti e facendo intendere di parteciparvi per patriottismo, commisero fatti criminosi di ogni genere e produssero numerosi storpi, come dicono testualmente le cronache[ii][21] . Recentemente Salvatore Lupo ha confermato e precisato che "durante la cospirazione risorgimentale esisteva una rete clandestina ispirata alla massoneria attraverso la sua filiazione, la carboneria[iii][22] ; e Giuseppe Carlo Marino parla di "alcuni nuclei carbonari dell'agrigentino" fra cui l'"Unione Italica di Canicattì[iv][23]. A Naro, dove era presente la misteriosa setta dei Beati Paoli, lo studente Ignazio Palmeri aderiva alle "idee dei carbonari di Sicilia[v][24].
[ii][20]Cfr. N. Colajanni, Nel regno della mafia. La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi, Palermo 1971, p. 49; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. I, Palermo, 1984, pp. 200-201; G. C. Marino, L'opposizione mafiosa. Mafia politica Stato liberale, Flaccovio, Palermo 1986, p. 80-81.
[ii][21]R. Candida, op. cit., p. 67.
[ii][22]S. Lupo, Storia della mafia, Donzelli editore, Roma 1996, p. 59.
[ii][23]G. C. Marino, Saverio Friscia, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo, p. 42.
[ii][24]M. Riolo Cutaja, Frammenti, Palermo 1989.