Premessa
La mia casa natale è ad angolo nord tra la Salita Rìggio e la Piazza Orlando nel quartiere Giamburtuni tra la Filicia e lu Stazzuni. Ancora bambino, la mia famiglia si trasferì nel Cortile Palermo, al centro della via adiacente che era larga e pianeggiante.
Questo era l’epicentro della mia palestra di giochi di strada, che duravano tutto l’anno ma che con i primi tepori primaverili divenivano chiassosi per il bisogno di correre e di gridare, mio e dei miei compagni, impegnati in giochi di prestanza fisica e di abilità.
Pochi e rari i giocattoli con i quali giocare ma con la fantasia riuscivamo a rimediare, costruendo spade di legno che ci trasformavano in abili spadaccini; bastava mettersi a cavallo di un bastone ed imitare il nitrito di un indomabile destriero per sentirci cavalieri e correre a combattere incruente battaglie; la creta azzurra, compatta e facile da plasmare, ci trasformava in abili costruttori di carri, di figure umane e di animali, così come d’inverno divenivamo abili costruttori di dighe, lungo le strade in pendio, per bloccare lo scorrere dell’acqua piovana, aspettando poi l’immancabile tracimazione per urlare di schietta gioia. Vincitore era chi di noi aveva costruito la diga che più a lungo aveva resistito alla piena. Si stava per strada fino al calar della sera, poi le voci delle mamme ci invitavano al rientro.
Delle strade del quartiere conoscevamo ogni scala, ogni cortile ed angolo che potesse offrire riparo dal sole o rifugio sicuro nel giocare a l’ammucciareddru, a nascondino. La via Palermo era tra le più larghe e pianeggianti e per questo deputata al gioco focu d’inizia, un abile correre per non farsi catturare e, da inseguito, passare ad inseguitore. I confini del mio quartiere si allargarono con la frequenza delle scuole elementari. Fu un esplorare giornaliero il paese: San Gaitanu, la Cruci, lu Ponti, lu Canaleddru, la Sirba, curioso di conoscere lo spazio geografico che mi circondava. Dopo il paese cominciai a conoscere il territorio esterno, i feudi e le contrade dove seguivo mio padre che lavorava le terre da noi possedute. Mi piaceva muovermi per le trazzere, gestire gli animali da soma, rendermi utile, fin quando non fui capace di gestire tutte le terre, dopo l’emigrazione di mio padre.
Ero ragazzo e, in compagnia di mia madre, mi sono allontanato per la prima volta da Cianciana. Una breve vacanza in Inghilterra, dove mio padre era da anni emigrato, prima che egli tornasse definitivamente in paese.
Era il settembre del 1959, avremmo festeggiato il Natale a Cianciana. Non fu così, la nebbia inglese mi stupì, mi accolse e infine, inaspettatamente, ci trattenne.
Non ho dimenticato.
Natale 2010
Francesco Cannatella
Gleenwell Saint Albans GB
Introduzione
A quattro anni dalla pubblicazione della raccolta dei cognomi e dei soprannomi di Cianciana, di Francesco Cannatella, preceduti da altre significative raccolte demologiche, vedono la luce gli attesi due volumi sui toponimi urbani ed extraurbani. Poiché – allora come adesso – ebbi il privilegio di scrivere la introduzione, non posso ora non recuperarne le parole conclusive: «Non resta che attendere il compimento della ricognizione onomastica locale, già in corso d’opera, con la estensione alla microtoponomastica del territorio di Cianciana, da investigare nelle sue forme cartografate, ma anche in quelle popolari e dialettali. Sono queste ultime, in quanto appartenenti – così come i nomi di persona – alla tradizione orale, le forme più idonee a ricostruzioni storico-linguistiche e culturali.”
Il quadro onomastico è ora compiuto, ed è coerente la scelta di aver concepito e realizzato un’opera unitaria, il cui titolo “Cianciana onomàstica” esprime nella continuità dei complessivi quattro volumi l’intero patrimonio antroponomastico e toponomastico di una comunità significativa della Provincia di Agrigento.
Nel salutare il compimento di questa importante opera, vanno evidenziati due aspetti: il valore scientifico e quello comunitario. In primo luogo, va sottolineato il valore scientifico dell’impresa. Tale valore sta, come si è detto, proprio nella concezione unitaria del corpus onomastico, oltre che nell’impianto e nella documentazione che i due volumi offrono.
Uno dei limiti che hanno spesso contrassegnato repertori onomastici anche di grande valore scientifico, è stato quello di aver trattato soltanto una porzione della totalità delle testimonianze. E invece, nomi personali e toponimi vanno considerati e trattati congiuntamente, in virtù degli intimi rapporti storici, ambientali, culturali. È esemplare, in tal senso, il “Dizionario onomastico della Sicilia“ di Girolamo Caracausi (Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1993), il cui sottotitolo ribadisce che si tratta di un “Repertorio storico-etimologico di nomi di famiglia e di luogo.” E, al di là della Sicilia, il saggio “globale” di Giorgio Marrapodi su “Teoria e prassi di sistemi onimici popolari: la comunità orbasca (Appennino Ligure centrale) e i suoi nomi propri” (Quaderni italiani di RION 1, Roma 2006).
Per di più, i due volumi di Francesco Cannatella distinguono opportunamente gli odònimi (vol. 3°, La città) dai microtoponimi del territorio (vol. 4°, Il feudo), i primi analizzati con grande scrupolo, dall’assetto del contesto urbano a partire dal 1844, disegnato con microscopica precisione (cogliendo anche i rapporti con la realtà economica del tempo: cfr. “Le attività artigianali”, pp. 23-24), alla prima carta topografica urbana del 1920, sino alle fasi più recenti del progressivo ampliamento e assestamento.
In questo contesto, assumono uno speciale valore le vicende singolari di due edifici emblematici che danno il nome a due quartieri storici: il Quartiere delle Carceri e il Quartiere del Castello, e anche la evidenza data alla odonimia non ufficiale (popolare), pur essa importante poiché emerge dalla memoria comunitaria.
Il medesimo scrupolo contrassegna anche il 4° volume sulla microtoponomastica del feudo, rappresentata attraverso confronti cronologici e – sul piano linguistico – tra toponimi cartografati e toponimi popolari, tramandati dalla tradizione orale.
Clamoroso è, in tal senso, il caso di Serra dei Goti che rende il dialettale, quindi autentico, Serra di li cuti: soltanto la registrazione anche della forma orale del toponimo consente di individuarne l’etimologia, quando la forma cartografata – come in questo caso – è fuorviante. Si tratta, anche in casi come questo, di requisiti propri delle migliori ricognizioni a noi note.
Ciò che invece conferisce ai due volumi toponomastici di Francesco Cannatella un pregio speciale e direi unico, sono – oltre al copioso corredo fotografico e documentario – i preziosi documenti orali, raccolti dalla viva voce degli anziani, depositari della memoria comunitaria: questo “sentimento dei luoghi” (i luoghi raccontati!) percorre l’intera opera, sinanco nella suggestiva “scia luminosa” della memoria, di cui ci parla nella “Premessa” l’altro Francesco Cannatella dalla lontana Inghilterra.
Vi è poi, come si diceva all’inizio, un valore aggiunto che si manifesta nell’omaggio a una comunità, quella di Cianciana, che pure annovera contrassegni condivisi e protagonisti di grande prestigio per la cultura siciliana. Cianciana può dunque contare, ora, su una sua “Biblioteca delle tradizioni popolari”, che si colloca nel solco fecondo degli studi demologici siciliani.
Giovanni Ruffino
Università di Palermo
Presidente del
Centro di studi filologici e linguistici siciliani