Sample Image  Lo spettacolo tearale "Cianciana" è stato di scena il 17/08/2010 presso la cavea della Villa Comunale, di e con Eugenio Vaccaro, Marco Pisano e Angelo Abela, scritto da Tommaso Di Dio e Milena Viscardi. Si riporta l'intervista fatta agli autori da Tanina Amato. Dai grandi teatri fino a noi, inconsapevoli protagonisti di uno spettacolo di successo: CIANCIANA.

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Dopo aver calcato i prestigiosi teatri di Roma, Milano, Napoli e di importanti rassegne teatrali europee, ecco in scena la compagnia teatrale ESIBA di Siracusa su quello che potremmo definire il palcoscenico più “difficile”: quello di Cianciana davanti ai Ciancianesi.

 

“Cianciana” racconta la storia realmente vissuta da tanti sulla propria pelle, una storia fatta di sudore, rabbia e sacrifici e dall’istinto di non piegarsi alla rassegnazione senza però riuscire a sfuggire ad un destino inellutabile che quasi inesorabilmente assume i tratti dell’illegalità. E’ una Sicilia contadina, rivoluzionaria ma alla fine sconfitta ed emigrante, persuasa che solo nell’abbandono della propria terra si può trovare una possibilità di riscatto, "perché la domanda non è perché partire, la domanda è perché restare".

 

Lo spettacolo ispirato al romanzo-inchiesta “Terra di rapina” di Giuliana Saladino (1925 -1999) pubblicato nel ’77, racconta in modo diretto, con una scenografia assente, la dura e disillusa realtà contadina degli anni Quaranta, quando si vedeva nella rivoluzione una possibile soluzione di fronte alle ingiustizie dei Baroni oppressori e violenti: "la legge ora è nuova, la legge vostra muore, la legge nuova ha il nostro nome, sarà sangue nostro dentro le vostre facce vuote".

 

I cento aratri che si fermano in nome della legge e che in nome della Costituzione ripartono sotto il vessillo del diritto ad un lavoro che, dolorosamente, si troverà soltanto alla fine dei binari che portano verso il Nord Italia, quando non più lontano.

 

 Ed allora si raccontano gli arrivederci alla famiglia, e le "telefonate telefoniche articolate" dense di una semplice e dolce nostalgia di casa; si racconta di chi è riuscito a ricominciare, di chi, pur sradicato dal proprio paese natale, ha trovato il modo e la forza per costruirsi una vita nuova, mentre c’è ancora chi non può smettere di ripetersi "Cianciana era bella! Cianciana bella era! La mia terra è stata rapinata!".

 

Una generazione distrutta e privata di tutto: affetti, famiglie e speranze…. la storia si ripete ed è più attuale che mai…sembra addirittura predire il futuro non solo di noi siciliani, ma anche e soprattutto di quei disperati che con gli occhi pieni di speranza e paura attraversano il mare su precari barconi alla ricerca di lavoro e dignità.

 

Ecco cosa hanno scelto di raccontare nello spettacolo Cianciana i tre giovani attori siracusani, Marco Pisano, Eugenio Vaccaro e Angelo Abela, della compagnia Esiba Teatro di Siracusa sulle sonorità delle poesie di Ignazio Buttitta e delle canzoni di Rosa Balistrieri.

 

 

 Di seguito propongo l’intervista gentilmente concessami dai tre attori:

 1)      Come nasce in voi l’interesse per il teatro civile?  L’interesse per il teatro civile nasce dall’esigenza di confrontarsi con temi reali, che fanno parte della nostra storia o del nostro presente. Gli argomenti che portiamo sul palcoscenico costituiscono per noi, in modo diretto o indiretto, le problematiche con le quali ci scontriamo ogni giorno. Lavoro, legalità, precariato, libertà sono questioni che ci appartengono. Il nostro percorso teatrale si è avvicinato alle tematiche civili e sociali proprio perché questa è un’esigenza nata, innanzitutto dai percorsi affrontati con la nostra associazione (Esiba Arte). Ci siamo chiesti e ci chiediamo ancora, cosa abbiamo bisogno di dire e su cosa abbiamo necessità di riflettere, la risposta ha trovato così la sua direzione verso i temi del sociale, di ieri e di oggi. 2)      Con “Cianciana” affrontate un tema che porta a riflettere sull’annosa “Questione meridionale”, è stato difficile affrontare un argomento così spinoso? Sì, certamente è stato complesso soprattutto documentarsi, studiare non soltanto la questione meridionale, ma anche fenomeni relativi all’immigrazione, alla legalità. Da parte nostra, avendo la necessità di creare una visione simbolica di quel particolare periodo storico, abbiamo reso alcune tematiche appartenenti al passato, più vicine a noi, trasportandole nel presente. Ci siamo interrogati su questioni relative alla possibilità di scegliere o no la legalità, abbiamo compreso quanto i problemi del Meridione siano ancora sempre gli stessi, dunque ci appartengono, coinvolgono più generazioni, fanno parte della quotidianità con la quale ci scontriamo. Abbiamo cercato di rendere “nostre” le tematiche affrontate nello spettacolo, proprio perché le sentiamo vicine anche alla epoca in cui viviamo. 3)      Nella scena del dialogo tra il politico intellettuale milanese, l’infervorato politico napoletano e l’americano sottolineate una diatriba tra il “laborioso” Nord e il “rilassato” Sud che va avanti fin dai tempi dell’Unità d’Italia, cosa pensate dell’immagine che oggi dà di sé la Sicilia? La scena della conferenza rappresenta le opinioni di chi ha solo studiato quegli eventi e non li ha vissuti sulla propria pelle. Così rimangono solo visioni, parole. L’immagine della Sicilia da 50 anni ad oggi non è cambiata. La nostra rimane una terra ricca di risorse e bellezze. È evidente che per chi vive al Nord il Meridione rimane una terra incapace di crescere. Per altri, che vivono al Sud, rimane una terra spesso non aiutata a fare il salto di qualità.In generale crediamo che sia percepita come una terra incapace di decidere la propria storia, che preferisce farsi guidare piuttosto che essere artefice del proprio destino. I potenti, ovvero i poteri mafiosi, politici ed economici, sono le poche lobby che guidano il percorso della nostra regione. 

4)      Nella rielaborazione “Terra di rapina” avete scelto di inserire ritratti più “leggeri” come il dialogo tra le comari. Avete voluto sottolineare con questa scelta un lato del “popolo” siciliano che si contraddistingue per la propria capacità di sorridere (anche amaramente) di fronte alla dura realtà?

 Con la scena delle “comari” abbiamo voluto portare sul palcoscenico uno dei tanti stereotipi con il quale viene rappresentata la Sicilia, giocandoci però,rendendolo così strumento di altro. Le comari sono “macchiette” che raccontano il cambiamento di un periodo storico. Esteriormente ridono e fanno ridere, ma quello che narrano è un momento di grande cambiamento, il boom economico, la nuova ricchezza, ma anche la malinconia per un popolo che migra e va a cercare fortuna altrove.Ci piaceva rendere ironico il filone del teatro dialettale, che è assolutamente importante nel solco della nostra tradizione, ma che abbiamo cercato di rileggere secondo il nostro punto di vista. 5)      Nella domanda ho usato volutamente il termine “popolo” e non popolazione perché penso che la personalità del siciliano sia stata forgiata e contaminata dalle varie dominazioni storicamente subite dalla nostra Terra tanto da renderlo unico e diverso, siete d’accordo? Certamente i siciliani sono un popolo, uniti e solidali fra loro. Le diverse matrici storiche e culturali hanno creato nella nostra Terra un vero e proprio Melting Pot. L’essere stati conquistati e dominati da altri popoli però non può che costituire un retaggio negativo che ci ha portato, probabilmente, a credere e preferire, ancora oggi, che altri scelgano cosa fare del nostro destino. 6)      In una delle scene dello spettacolo ad un certo punto esce fuori un interrogativo amletico: “ Ma la Sicilia è povera perché si è spopolata o si è spopolata perché è povera?...vi giro la domanda … In realtà noi non vogliamo dare una risposta a questo interrogativo, perché preferiamo porre domande agli spettatori piuttosto che fornire soluzioni preconfezionate.Probabilmente, ognuno di noi in questa terra, tanto ieri quanto oggi, ha meno possibilità di quelle che si auspica. Le due ipotesi, sulle cause della povertà della Sicilia, sono senza dubbio entrambe vere, ma la domanda rimane sospesa, legata a doppio filo da ragioni  connesse  fra loro e forse indissolubili. 7)      La scelta del titolo che avete dato alla vostra creazione artistica ha riempito i ciancianesi di onore, ma anche di un po’ di amarezza nel ricordare i sacrifici e le sofferenze vissuti dai nostri genitori e nonni; cosa avete provato nel ritrovarvi di fronte un pubblico che ha provato direttamente sulla propria pelle la storia che avete rappresentato? Per noi è stata una grande responsabilità recitare a Cianciana, perché ci siamo approcciati alla storia di “Terra di rapina” da siciliani comunque estranei ai fatti, non avendoli vissuti. Cianciana per noi è il simbolo delle lotte per i diritti e rappresentare in questi luoghi il nostro lavoro ha significato mettere alla prova il nostro approccio verso questa vicenda storica, che racchiude poi moltissime vicende personali. Eravamo certamente intimoriti nel recitare “Cianciana” di fronte ai ciancianesi, avevamo paura di aver sbagliato approccio perché sapevamo di aver sviluppato personaggi e finzioni basandoci, però su storie reali, con molto rispetto, ma giocando.  “Giocare”  sulla vita e le emozioni degli altri è complicato.Abbiamo portato in scena la vita dei ciancianesi, mettendo sotto esame la nostra percezione nei confronti di eventi che non ci appartengono, se non come metafore.Avere un paese che guarda se stesso e la propria storia attraverso il nostro lavoro ci ha messo addosso un carico di responsabilità non indifferente. Portare il nostro spettacolo a Cianciana ci ha finalmente permesso di toccare con mano i luoghi principali sui quali abbiamo lavorato negli ultimi anni. L’ospitalità, la gentilezza e il calore del pubblico ciancianese ci hanno commosso, emozionato, stupito e resi felici. Non possiamo che dirvi grazie per l’accoglienza che ci è stata riservata.  8)      La vostra piéce teatrale è ricca di simbolismi, dagli ombrelli al fantoccio, cosa avete voluto rappresentare? Secondo noi, ogni simbolo può e dev’essere un elemento da interpretare liberamente.Non ci interessa che il pubblico veda nei simboli che scegliamo di mettere in scena ciò che noi abbiamo pensato attraverso di loro. Nello specifico possiamo dire che il fantoccio è chiaramente il figlio del barone, rappresenta dunque il padrone, è simbolo del potere dei forti, infatti, è l’unico ad avere le scarpe. È un fantoccio perché è comunque anche strumento del potere di una classe e di un sistema, è un burattino in mano d’altri.Gli ombrelli in scena sono gialli come i campi di grano, ma rappresentano anche uno scudo fragile con il quale i contadini affrontano la rivolta. Il giallo è il colore del grano, ma anche dell’oro, ricchezza dei padroni.  9)      Come mai avete scelto di recitare la poesia di Buttitta in romeno? La poesia di Buttitta che abbiamo inserito in una scena del nostro spettacolo è un grido di sofferenza e rivolta, un’accusa nei confronti dei padroni. I nuovi sfruttati di oggi sono i migranti, soprattutto dell’est e del nord Africa. Il romeno, inoltre, non è stato una scelta casuale, ma legata alla musicalità della lingua, molto vicina alle sonorità dell’italiano.  10)  Penso di esprimere il sentimento di tutti i Ciancianesi dicendo che saremmo lieti di rivedervi ancora. Avete già un nuovo progetto in cantiere? Sì, il nostro nuovo progetto teatrale si chiama “Anamorfosis” abbiamo avuto l’onore di presentarlo a giugno in occasione dell’E-45 Napoli Fringe Festival.“Anamorfosis” non nasce a caso dopo “Cianciana”, perché dopo aver cercato di leggere il nostro passato, con questo nuovo spettacolo teatrale, abbiamo riflettuto sul presente, giungendo alla conclusione che, purtroppo, i cambiamenti reali a livello sociale, sono impossibili. Portiamo in scena la sensazione comune di trovarsi dentro una gabbia, non per assenza di libertà, ma per il sentimento d’impotenza di fronte al sistema che ci domina. Così abbiamo scelto di portare sul palcoscenico 3 personaggi simbolo della degenerazione della nostra società.

Tanina Amato

Proponiamo la poesia di Buttitta declamata in romeno durante lo spettacolo VOGLIAMO LA TERRA 

Sono affamato, nudo, senza casa, senza riposo

Per i pesi che ho dovuto portare,

mi hai sputato addosso e picchiato,

sono stato un cane per te!

Vile padrone, che i venti hanno portato su questa terra,

se anche l’inferno stesso ti rende libero

di calpestarci e farci sanguinare,

sappi che noi sopporteremo sia la fatica che la necessità,

perché l’aratro e i buoi hanno bisogno di noi,

e noi chiediamo terra!

 

Ogni volta che tu riesci a vedere una crosta di pane,

anche se scura e stantia, noi non ne vediamo più;

hai trascinato in una guerra spietata i nostri figli,

le nostre figlie nel tuo letto.

Tu bestemmi su tutto ciò che di caro e prezioso abbiamo,

hai bandito fede e compassione;

i nostri bambini muoiono di fame e febbre,

noi perdiamo la ragione per il dolore, ma ancora

sopportiamo la ruota del tuo mulino

per avere la terra!

 

Non abbiamo neppure tempo per una preghiera,

perché il tempo è anch’esso in tuo potere;

un’anima è tutto ciò che abbiamo, e tu

hai di meglio a cui pensare!

Hai giurato di derubarci del giusto

Di proclamare fuori legge le nostre lamentele,

quando gridiamo ci doni tortura,

tortura inaudita, catene , schiaffi

e pesi quando, stanchi morti, urliamo:

combatteremo per la terra!

 

Cosa hai seppellito qui? Dillo!!

Grano? Mais? Noi abbiamo antenati e madri,

noi, padri, sorelle dolcissime e fratelli!

Ma indesiderati ai padroni e quindi via!!

La nostra terra è sacra, ricca e coraggiosa,

è la nostra culla e la nostra tomba,

l’abbiamo difesa con il sudore

e il sangue, e lacrime amare hanno bagnato

ogni palmo di essa, allora non dimenticare:

c’è la nostra febbre su questa terra!

 

Noi non possiamo più sopportare il destino,

la fame, i disastri

che seguono i passi dei padroni

venuti dalle strade!

Dio voglia che noi non esigiamo

Al posto della terra il tuo odiato sangue!

Quando la fame scioglierà i nostri lacci

E la povertà ci farà insorgere

Puniremo anche nelle vostre tombe

Te e la tua banda!