Sample Image  La Fattura è stato il racconto premiato alla seconda edizione del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”. Il Prof. Franceso Cannatella premiato nella Sezione D – Racconti, con  “LA FATTURA”, ed ha ottenuto il Premio Speciale Vincenzo Licata con lo stesso racconto.

La Fattura.

Appena entrato nella stalla, gli si seccò il sangue e restò freddo come la neve. La scecca con la testa penzoloni era e con la testa penzoloni rimace. E il dondolio della coda? Cent’anni prima! Iapico, meschinol si fermò con in mano il pugno di fave che ogni mattinal nello ccendere la scala, faceva rumoreggiare, scuotendole, ripagato dal lieve raglio di Paparina. Si salutavano così, un’affetduosa intesa.

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La fattura            di francesco cannatella  Appena entrato nella stalla, gli si seccò il sangue e restò freddo come la neve. La scecca con la testa penzoloni era e con la testa penzoloni rimace. E il dondolio della coda? Cent’anni prima! Iapico, meschinol si fermò con in mano il pugno di fave che ogni mattinal nello ccendere la scala, faceva rumoreggiare, scuotendole, ripagato dal lieve raglio di Paparina. Si salutavano così, un’affetduosa intesa.Egli si avvicinò alla mangiatoia e costatò che non mancava un filo di paglia. La scecca non aveva mangiatoa Eppure ricordava di averla lasciata, a sera, sana e piena di vita. L’accarezzò tra le orecchie e la fronte ed aspettò che strucciasse la testa sul suo petto. Niente! Spalancò la porda per fare entrare luce dalla strada e guardò attentamente Paparina, pelo per pelo. Poi la sciolse dalla mangiatoia per portarla al cendro della stalla e controllare il fianco che l’animale rivolgeva`verso il muro. Tira e tira, la scecca allungava il collo ma non si muoveva.- Paparì, che ti càpita?Essa lo guardò con occhi malinconici e fece due passi, tanto per far notare che si muoveva su tre gambe; l’altra, la destra posteriore, era tenuta rannicchiata verso la pancia.- Cèeee! Zoppa sei!Il mondo gli crollò addosso. Paparina era forza lavoro insostituibile e, per un fatto economico, non rinnovabile.- Consumato sono!***             Il vicino è serpente, se non ti vede ti sente. Fu così che in quell’alba ebbe inizio una processione e la stalla si rempì di cristiani. Tutti i vicini fecero corona alla bestia ed al padrone, standosene muti ed immobili. Mastro Saro, compare d’anello, per testimoniare solidarietà, si presentò con tutta la sua bella bronchite. E dire che, nel bisogno, chiamava il medico a casa anche nei mesi di calura. Ogni nuovo entrato esclamava:- Iapico! Poi congiungeva le mani ad angolo acuto, facendo si che le punte delle dita si toccassero, mentre il pollice della mano destra si adagiava su quello della sinistra. Così stando, le muoveva verso l’alto e poi verso il basso, una o più volte, a seconda della intensità del rapporto e del dispiacere.Iapico batteva con forza le mani, lasciando che per un attimo si stringessero, di poi le liberava e, allargando le braccia, esclamava:-         Mah! Pietre dall’aria cadono stamattina.Calò il lutto.***             Pietro entrò ed i presenti capirono che era ora di andarsene. La porta della stalla venne chiusa.Aveva il respiro affannoso, la salità tra Santo Rocco e la Felicia era dura da sostenere a passo svelto. Non fu necessario chiedere perchè lo avessero bruscamente svegliato, quelle tre gambe in mezzo alla casa erano motivo evidente. Tirò fuori una pezza nera e la stese sopra la schiena di Paparina, annodandola con un fiocco alla coda ed un altro al collo. Chiuse gli occhi e fu vivo solo per un impercettibile muover di labbra. Pietro, dopo minuti interminabili, aprì occhi e bocca e Iapico, che seguiva con trepidazione ogni bisbigliò, chiese: - Che te ne pare?- Iapico, fattura è.- Lo sapevo. Il sangue mi pungeva.- Qualcuno ti vuole male.- Fammi il nome e ci penso io.- Te lo devo dire io il nome? Tu lo sai.Dopo un momento di riflessione, Iapico sembrò essere preda del ballo di san Vito e divenne furente.- Figlia di buttana! Che vita amara!Pietro abbassò la testa e per Iapico fu certa conferma.- L’invidia le mangia gli occhi. Che ci vuoi fare?- Che ci voglio fare? Tu ci devi fare che questa disgraziata non deve stare tranquilla nè giorno nè notte. Quanto costa costa, pronto a impegnarmi la testa.- Iapico, non ti posso servire. Io alla gente il male lo levo.- Allora un giorno di questi mi troverà pazzo e gliela faccio finire io una volta per tutte.*** Pietro, in coscienza, era consapevole di aver mai migliorato nè peggiorato uno qualsiasi dei tanti problemi che gli avevano sottoposto ma in paese c’era chi testimoniava miracoli e chi lo accusava di diavolerie. Tra i due schieramenti, egli aveva assunto notorietà ed accettato di essere ciò che la gente diceva che fosse. Qualche rischio c’era, però riusciva a camparci la famiglia. Mai chiesto o preso denaro, per i suoi interventi preferiva come ricompensa ciò di cui contadini, zolfatai e pastori disponevano: Frutta, olio, vino, farina, cereali, salsiccia, capretti, formaggio, ricotta e quant’altro stagione maturava e magnanimità offriva. Le richieste d’intervento non mancavano e le file dei contenti e degli scontenti si ingrossavano.- Me la puoi liberare Paparina?- Domani notte. Mi preparo e vengo.- Quant’è il disturbo?- Basta l’amicizia.- Aspetta un minuto.Iapico sali in camera e nel ritornare portò un paniere dal quale fuorusciva un buon odore di formaggio ed un gradevole rumoreggiare di bottiglie, probabile incontro tra vino ed olio, il tutto sovrastato dal biancore di numerose uova. - Non ti dico grazie per non levarmi l’obbligo, Pietro.- Non c’era bisogno, Iapico. *** Il giorno fu interminabile ma, come volle Dio, giunse la sera e venne la notte.Pietro volle rimanere solo con Paparina e Iapico si pose in ascolto dietro la porta nella scala. Afferrò qualche rumore indecifrabile ed un persistente odore che gli ricordava quello respirato in chiesa. Ore di tormento nelle quali speranza e disperazione si succedevano tanto velocemente da diventare un solo stato d’animo. Alla fine la porta della scala si schiuse. Iapico corse con gli occhi a contare gli zoccoli che toccavano terra. Erano ancora tre e fece la morte che ebbe da fare. Pietro era bagnato come se l’avessero immerso nell’acqua ed il viso era di un pallore che faceva impressione, ebbe bisogno di sedersi e si asciugò la fronte. Gli uomini restarono a lungo a fissarsi.  - Iapico, Cianciana è paese e Girgenti è città. C’è gente che sta sopra di me.Tutto fu chiaro.- Ecco perchè quella disonesta andava e veniva da Girgenti tutte le settimane con l’autobus! Pietro abbassò la testa e tacitamente concordò.- Per te viaggiava. - C’è qualche speranza o è mortale?- Zoppa a vita ti resta!Stavolta Iapico non ebbe bisogno di salire in camera, due panieri erano stati sistemati nella scala e fu facile far loro  cambiare di mano.*** Giorno dopo giorno, Iapico apriva la stalla di primo mattino e, standosene seduto, riceveva visite. Si può dire che tutto il paese, tra dispiacere e piacere dissimulato, gli strinse la mano. Un dilemma terribile lo tormentava: Tenersi a vita Paparina zoppa o venderla per carne da macello? Un contrasto insanabile. Un pomeriggio sonnecchiava, quando fu svegliato da una voce conosciuta.- Iapico, si può entrare?- Voscenza è padrone.Era il dottor Oliveri che, visitato mastro Saro, faceva capolino nella stalla, curioso di vedere la scecca di cui tutto il paese parlava. Iapico per un attimo pensò di presentargli il caso, vero che era medico di cristiani ma qualche cosa di animali poteva capirne.- Come sta Paparina?.- Voscenza lo vede. Il dottore girò a lungo attorno all’ammalata, di colpo gridò ed agitò il giornale che teneva in mano. Paparina, spaventata, indietreggiò a quattro gambe e Iapico restò a guardarla a bocca aperta.- Cèeee!- Niente di grave.- Niente, dice voscenza?- Paparina si riprende.- Si riprende, dice voscenza? Il dottore gli battè una mano sulla spalla e sorrise:- Iapico, sciatica è!