Il 26.06.09 alle ore 20,00, a Siracusa: la Compagnia Esiba Teatro debutta con il suo nuovo spettacolo dal titolo “Cianciana”, Regia: Marco Pisano+Eugenio Vaccaro+Angelo Abela.

Ha preso il via il 21 giugno a Siracusa la manifestazione culturale “La Divina Vita”, promossa dall’associazione VitaeCultura-AmicidiMax, coadiuvata da numerose personalità del mondo accademico ed artistico che per una settimana animeranno il centro storico di Ortigia – avendo come fulcro l’ex convento del Ritiro di via Mirabella – con una serie di incontri, workshop e spettacoli.
La sezione cinema sarà interamente gestita dall’Associazione Esiba Arte, che presenterà per l’occasione una carrellata di cinema d’autore – da Bergman, a Fellini fino a Gondry e Manuli – oltre al suo “Cianciana”, per la regia di Marco Pisano.
la Compagnia Esiba Teatro debutta con il suo nuovo spettacolo dal titolo “Cianciana”, performance teatrale che rilegge in chiave critica e ironica il momento storico legato alle lotte contadine in Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta.
Raccontiamo di povertà, di arretratezza, di mafia, di emigrazione, di esilio, di tutti i luoghi più o meno comuni della nostra isola, ma questa volta lo facciamo partendo da noi, dalle cose più piccole e sperdute tra le pietre dell’entroterra.
Lo facciamo raccontando di un paese, Cianciana, mai raggiunto dalle lotte contadine, dai forti sconvolgimenti del progresso, dalle logiche di potere della criminalità organizzata.
Per noi Cianciana è il tempo fermato scandito a vuoto dai rintocchi delle campane, è la corriera che vomita in piazza nessun nuovo arrivato e qualche canzone in più, è l’anonimo ignorante e sconfitto che è il vero volto della Sicilia senza saperlo.
Cianciana è lo scoprire che dopo più di mezzo secolo il nostro partire, lasciare la casa per abbracciare il moderno, ha le stesse rotte e lo stesso pericolo che avevano i nostri nonni.
TESTI: Ignazio Buttitta, Tommaso di Dio
ELABORAZIONE DRAMMATURGICA: Milena Viscardi
REGIA:Milena Viscardi
ATTORI: Angelo Abela, Marco Pisano, Eugenio Vaccaro.
Raccontiamo di povertà, di arretratezza, di mafia, di emigrazione, di esilio, di tutti i luoghi più o meno comuni della nostra isola, ma questa volta lo facciamo partendo da noi, dalle cose più piccole e sperdute tra le pietre dell’entroterra. Lo facciamo raccontando di un paese, Cianciana, mai raggiunto dalle lotte contadine, dai forti sconvolgimenti del progresso, dalle logiche di potere della criminalità organizzata. Per noi Cianciana è il tempo fermato scandito a vuoto dai rintocchi delle campane, è la corriera che vomita in piazza nessun nuovo arrivato e qualche canzone in più, è l’anonimo ignorante e sconfitto che è il vero volto della Sicilia senza saperlo. Cianciana è lo scoprire che dopo più di mezzo secolo il nostro partire, lasciare la casa per abbracciare il moderno, ha le stesse rotte e lo stesso pericolo che avevano i nostri nonni.
In un punto indefinito del passato tre contadini, una piccola comunità, vivono la fatica di spaccare la terra infertile, animati da una gioia di vita che si sfuoca con la rabbia, con la fame di dignità e orgoglio, quando improvvisamente vengono assaliti dal dubbio di potere: poter riprendersi la terra, poter mettere a tacere baroni e campieri, poter scrivere di proprio pugno la propria storia. E sarà speranza, sarà marcia, sarà sangue…
In un punto indefinito del presente Giuseppe, un ragazzo di Cianciana, si trascina ai limiti dell’emarginazione: la sua generazione non ha conosciuto gli entusiasmi delle lotte contadine, il suo paese non si smuove, i giorni sono uguali uno all’altro, ma la fame e la rabbia sono sempre le stesse. Giuseppe non indovina la via del mare, del prendere il largo, e allora in mezzo alle pietraie, in mezzo ai cunicoli bui dove si può cadere dimenticati immagina di poter umiliare i potenti, di poter essere furbo, di cambiare il proprio destino. Giuseppe rapisce un ricco figlio di possidente, un pallido “filosofo”, Giuseppe compie un crimine senza avere il volto del criminale. E sarà speranza, carcere, riscatto, ricaduta, di nuovo crimine e questa volta delitto perpetrato ai danni di chi davvero si è rifatto una vita.
In un punto indefinito del futuro tre cittadini, individualità disperse, si ubriacano di progresso, scoprono il volto di una mafia che ha allungato ovunque i propri tentacoli, vagano alla ricerca delle proprie radici per combatterle, per negarle e poi riamarle. E sarà speranza, partenza, esilio, nostalgia.
Il testo di “Cianciana” è una composizione di testimonianze raccolte dal sapore frammentario, polifonico, trasversale, autentico per voler ricostruire un arco di tempo che va dal secondo dopoguerra ad oggi per scorgere le ripercussioni nel nostro modo di vivere, nel nostro modo di chiamare Sicilia.In scena tre attori che non si fossilizzano su un’identità per poter incarnare una collettività non rinchiusa in delimitazioni di tempo, spazio e genere pur mantenendo un’alta definizione nelle vicende che si susseguono scivolando senza sosta in un continuum che vuole esaurire in un sorso il senso umano di mezzo secolo.
La questione della rivolta contadina occupa all’interno dell’economia dello spettacolo uno spazio fulmineo, così come fu effettivamente a livello storico: un pugno di anni sbranati dall’entusiasmo, dal furore di prendersi con la forza delle braccia la terra che anche Dio destinerebbe a chi la lavora. Un pugno di anni decapitati dall’ancestrale consuetudine di quel potere e di quella legge non scritta che nel corso di secoli ha tiranneggiato sull’isola. Dopo aver affogato nel sangue innocente le rivolte, la mafia cambia volto e cambia nome, ma non cambia il cuore che vuole vedere in maniera nuova rapinata la terra. Droga la sua gente con lo stupefacente del progresso facile, ma anche se tutto sembra muoversi e rinnovarsi la Sicilia, confusa da nuovi bisogni, rimane sempre la stessa.
La lingua è stratificata. L’italiano appartiene allo straniero, fa da lingua narrante, è il bisturi che seziona la questione. A farla da padrone è il dialetto, che muta, evolve, da linguaggio arcaico e musicale a quello più spiccio e moderno di oggi. Il dialetto è metamorfico perché rimane l’unica lingua di sincera congiunzione tra anima e corpo dei personaggi, come se fosse una voce ancestrale che amplifica i ruggiti e le contorsionii delle radici di chi lo parla. In più c’è l’aggiunta del rumeno, idioma utilizzato per illustrare una realtà, purtroppo fortemente attuale, che vede gli immigrati dall’Est Europa come i nuovi sfruttati nelle terre dell’Italia meridionale.
Per realizzare il testo le fonti sono state le più svariate: dai testi burocratici della legge Gullo agli articoli di giornale degli anni ’40, dalle poesie di Ignazio Buttitta alle canzoni popolari di Rosa Balistreri, dalle testimonianze degli anziani dell’entroterra agrigentino ai frammenti dei poeti arabi di Sicilia, dall’incontro con immigrati rumeni alle filastrocche dei solfatari. Su tutto questo materiale l’intervento a rendere poesia ciò che è documento e a trasformare in immagine e azione teatrale ciò che è lirica.
Questo quello che è nato dalla nostra ricerca, dalla nostra scelta e dalla nostra non fuga dalla verità. Questo è il nostro tentativo di comunicare che ancora c’è chi parte perché non c’è altra prospettiva, mentre è forte la necessità di poter realmente vivere non secondo un destino segnato, ma secondo una possibilità autentica, perché essere siciliani non è solo avere “u focu dintra a testa”.
REGIA: Milena Viscardi
TESTI: Tommaso Di Dio, Milena Viscardi
per info:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Marco Pisano 339 7274108
Eugenio Vaccaro 333 2533946
Angelo Abela 339 8012512
Milena Viscardi 349 4667020