Repubblica — 12 febbraio 2004   pagina 2   sezione: PALERMO

AGRIGENTO - Quando Giovanni Brusca diede l' ordine di rapire il piccolo Giuseppe Di Matteo, non si aspettava che i suoi picciotti glielo consegnassero in poche ore. E lui, boss sanguinario e decisionista si trovò in difficoltà. Anche per uno come Brusca non era facile gestire il sequestro di un bambino la cui unica colpa era quella di essere non solo il figlio di uno dei primi pentiti di mafia, ma per giunta di un uomo che non intendeva nemmeno ritrattare le sue accuse. A Giovanni Brusca non rimase che affidarsi ai suoi fedelissimi: le famiglie della provincia di Agrigento. Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che si è servita delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ciro Vara, hanno fatto luce sui sei mesi di permanenza del piccolo Giuseppe Di Matteo ad Agrigento ed hanno portato all' emissione di otto ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Caputo ed eseguite la scorsa notte dai carabinieri del Comando provinciale. Tutti, secondo gli investigatori della Dda di Palermo, avrebbero avuto il ruolo di carcerieri nel sequestro del bambino che a lungo, prima di essere ucciso e sciolto nell' acido, venne tenuto segregato in alcuni centri delle province di Agrigento e Caltanissetta, con la copertura e l' avallo dei vertici mafiosi locali. Gli arrestati sono due, Salvatore Longo, 50 anni, imprenditore agricolo di Cammarata, paese montano in provincia di Agrigento e Alfonso Scozzari, 48 anni, imprenditore edile di Vallelunga Pratameno, nel Nisseno. Altre quattro ordinanze sono state notificate in carcere al gotha della mafia agrigentina e nissena: Mario Capizzi, riberese di 34 anni, boss di Cosa nostra già condannato all' ergastolo, Salvatore Fragapane, 48 anni, boss di Santa Elisabetta, anche lui ergastolano, Giovanni Pollari, di Cianciana, 55 anni, boss di Cosa nostra ed ergastolano e Alessandro Emmanuello, 37 anni, boss gelese di Cosa nostra. Un' altra ordinanza riguarda Daniele Emmanuello, 40 anni, boss latitante ed inserito nell' elenco delle più pericolose "primule rosse". Una persona infine è riuscita a sfuggire all' operazione e viene ricercata. Secondo quanto è emerso dalle indagini e secondo quanto è stato rivelato ieri mattina nel corso di una conferenza stampa dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento sono state almeno quattro le località agrigentine presso cui il piccolo Di Matteo fu tenuto prigioniero sin dai primissimi giorni del suo rapimento, avvenuto il 23 novembre del 1993. Dopo il sequestro, hanno spiegato gli investigatori, il bambino fu infatti condotto, prima a Misilmeri, e poi Lascari, dove venne consegnato a Giovanni Brusca, il quale dopo alcuni giorni, in località «Ponte Cinque Archi», nei pressi dello svincolo dell' autostrada Palermo-Catania, lo consegnò a Ciro Vara, ora collaboratore di giustizia. Quest' ultimo, hanno accertato le indagini, lo affidò ad Antonino Di Caro, all' epoca a capo della mafia della provincia agrigentina, il quale ne curò la custodia tramite Salvatore Longo che, secondo la Dda, mise a disposizione dell' organizzazione un casolare nelle campagne di San Giovanni Gemini, dove il piccolo Giuseppe trascorse il Natale del '93. Tra le altre località agrigentine dove il bambino fu tenuto segregato ci sono anche Cianciana, Favara ed il lido di contrada Cannatello nei pressi della villetta dove nel 1996 fu arrestato Giovanni Brusca. Da qui il coinvolgimento diretto dei capi mandamento delle zone interessate. Le indagini, come ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento Paolo Edera, hanno permesso di fare luce su uno dei più ignobili ed atroci delitti della storia dell' organizzazione criminale mafiosa: Giuseppe Di Matteo fu ucciso e poi sciolto nell' acido la sera dell' 11 gennaio del 1996. L' ordine lo diede Giovanni Brusca dopo avere appreso dal telegiornale di essere stato condannato all' ergastolo insieme a Leoluca Bagarella per l' omicidio di Ignazio Salvo. - FABIO RUSSELLO