Uno ha detto che stava andando al Festino di Santa Rosalia; un altro, alla fiera di Partanna. E che si erano persi lungo le trazzere di Santa Margherita Belice: così avevano chiesto informazioni ad alcuni signori tanto gentili che li avevano pure invitati a mangiare qualche dolcino. Il vassoio con le delizie di crema e ricotta era proprio lì, sul tavolo della masseria, quando i poliziotti della squadra mobile di Agrigento e Palermo hanno fatto irruzione, poco dopo le 10.40 di domenica. Erano quindici le persone riunite in consesso, non certo casualmente: tutti i rappresentanti dei mandamenti mafiosi dell' agrigentino. Gli investigatori tenevano sotto controllo alcuni di loro da settimane, grazie a cimici e rilevatori satellitari piazzati nelle auto. Il 16 giugno, li avevano seguiti durante un' altra riunione in un casolare di Cianciana. «Sapevamo che si sarebbe dovuto eleggere il rappresentante provinciale di Agrigento», ha spiegato ieri mattina il procuratore Pietro Grasso, durante la conferenza stampa alla questura di Palermo: «Vige la regola che l' eletto non possa essere uno dei capimandamento». Il 16 giugno, l' accordo non fu raggiunto. Domenica, il blitz è scattato prima della votazione: «Riteniamo di sapere chi sia il designato - dice il procuratore aggiunto Anna Palma - la formalizzazione della carica era stata richiesta dalle altre province, e soprattutto da Palermo, per regolare al meglio i rapporti all' interno dell' organizzazione mafiosa». Il capo sarebbe un boss latitante, Maurizio Di Gati, 36 anni, di Racalmuto, latitante da tre anni. «Già nei fatti esercita il suo potere», dice Grasso. «La formalizzazione della carica è il segno di una Cosa nostra che vuole essere efficiente in tutte le sue articolazioni. è la dimostrazione, ove ce ne fosse bisogno, della sua pericolosità». Nomi vecchi e nuovi nel blitz, coordinato sul campo dal sostituto procuratore Giovanni Di Leo. Giuseppe Nobile, 52 anni, era ufficialmente un consigliere provinciale di Forza Italia, in realtà era anche il rappresentante della famiglia mafiosa di Favara. Giovanni Maniscalco, 68 anni, è un ex consigliere comunale, attuale capo del clan di Burgio. Anche Nicolò Santo Riggio, 60 anni, ha un passato da consigliere comunale e un presente da boss: il suo figlioccio, Alberto Provenzano, 37 anni, pure lui fra gli arrestati, era autista e uomo di fiducia di Maniscalco, e in passato aveva anche intrapreso un' avviata attività a Palermo, come pseudo sindacalista ben addentro al Collocamento, pronto a promettere e vedere posti da precario; per questo era già finito in manette due anni fa. A Santa Margherita Belice c' erano anche Andrea Montalbano, 65 anni, rappresentante della famiglia di Cianciana; Raffaele Faldetta, 56, capo del clan di Casteltermini; Diego Di Bella, 76, rappresentante di Canicattì; Pietro Campo, 50, uomo d' onore di Santa Margherita Belice, già condannato a 8 anni per mafia; Salvatore Di Gioia, 49, boss di Canicattì. Poi un figlio d' arte, Stefano Fragapane, 24 anni (il padre Salvatore è l' ex rappresentante provinciale di Agrigento) e il suo autista, Stefano Magione, 39; Giuseppe Artale, 69 anni, originario di Santa Margherita; Fabio Vella, 28, autista di Nobile; quindi Francesco La Sala, 69 anni, affittuario del villino dove si è svolto il summit, e suo figlio Salvatore, trentaduenne. Ieri, poi, è stato fermato anche Ciro Tornatore, il proprietario della masseria dove si tenne l' incontro del 16 giugno: è il cognato di Montalbano.

- SALVO PALAZZOLO